Una
lunga
fune
transita
tra
cielo
e
terra
come
volesse
avvicinarli.
Un’altra
fune
li
congiunge
tra
loro
come
fosse
un
cordone
ombelicale.
Poi
ce
n’è
qualcuna
che
parrebbe
servire
a
sorreggere
solo
qualche
logoro
pantalone.
Altre
più
audaci
e
cautamente
invisibili,
come
radici
si
nascondono
qua
e
là,
al
buio,
anche
tra
gli
spettatori.
Le
corde,
si
sa,
sono
state
create
per
legare,
questo
è
noto.
O
perlomeno
da
quando
Godot
esiste,
se
esiste.Certo
è
che
qualcuno
lo
attende
come
si
fa
con
il
giorno
o
la
notte.
Bisognerebbe
trovare
il
tempo
per
farlo;
o
perderlo,
il
tempo.
Quanto
ne
occorre
per
sciogliere
i
nodi
che
la
vita
impone?
Basterebbe
un
cappello
pensatore
per
districarli
tutti.
In
questa
località
chiamata
palco
–
come
direbbe
l’autore
–
in
questa
culla
dei
sogni,
uno
lo
può
fare:
questo
auguriamo
allo
spettatore.
Giusto
il
tempo
di
una
ninna
nanna
per
sognare
di
copricapi
colorati,
di
carote,
rape
e
cipolle.
Assisteremo
alla
creazione,
quella
dei
gesti
sia
ben
inteso,
e
vi
penseremo
qualcosa
cantandovi
le
parole
di
Beckett.
Una
volta
desti
fingeremo
che
non
sia
successo nulla; staremo qui, lo faremo con piacere,aspettando Godot.
ASPETANDO GODOT
ESTRAGONE: Dovrebbe già essere qui.
VLADIMIRO: Non ha detto che verrà di sicuro.
ESTRAGONE: E se non viene?
VLADIMIRO: Torneremo domani.
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